mercoledì 11 aprile 2018

Crepuscolo

crepuscolo

Il crepuscolo dell'economia
- Sul contenuto della comunizzazione dei rapporti sociali -
di Clément Homs

Il contenuto della rivoluzione si situa nelle profondità sociale di ciò che costituisce il capitalismo, innanzitutto in quanto è una forma di vita sociale inedita, e la produzione storica della rivoluzione consiste principalmente nel fatto che ogni movimento rivoluzionario «colpisce al cuore la sintesi sociale» (Robert Kurz) [*1]. E a tal fine, bisogna rompere con lo schema ed il contenuto della Rivoluzione a partire dal XIX secolo, la quale ha sempre presupposto la sintesi sociale capitalista come qualcosa di naturale. Tale schema e contenuto, possono essere denominati con il termine di paradigma rivoluzionario proletario (ovvero, anticapitalismo tronco), e al giorno d'oggi non è altro che un cadavere che dev'essere gettato fuori bordo [*2]. Le sua ossa fossilizzate potrebbero essere descritte in tre modi:

1) - Marxismo tradizionale e programma proletario.
Il paradigma rivoluzionario proletaria ha portato avanti una critica del capitalismo svolta dal punto di vista del lavoro [*3]. La lotta di classe è consistita nel voler liberare il lavoro dal capitale, affermando positivamente sia l'identità lavoratrice della classe operaia che il lavoro, principio preteso come eterno e trans-storico, che verrebbe affermato in quanto nucleo della società futura e reso trasparente attraverso l'abolizione del velo mistificante del valore, grazie ad un processo di pianificazione, di autogestione, o di costituzione della società dei consigli finalmente cosciente. In questa visione, il lavoro riconosciuto come essenza di ogni società avrebbe finalmente quello che gli spetta. Su questa critica superficiale, sostenuta dal marxismo tradizionale, è stata fondata una teoria del proletariato. Teoria che può essere definita come un programma proletaria che ha come contenuto e come fine la potente scalata della classe operaia all'interno del modo di produzione capitalistico, l'affermazione del lavoro produttivo e la promozione del proletariato a classe dominante.

2) - Schemi pratici di programma proletario.
Questo programma proletario ha visto la seguente trasposizione pratica. La tradizione instaurata dall'Ottobre 1917, sovrastimando l'insurrezione armata, ha stabilito una visione strumentale e tecnicista della mobilitazione delle masse che viene vista come un mero supporto alla conquista del potere politico dello Stato; che è un primo passo necessario in questa visione gradualista, per poi pianificare una trasformazione dei rapporti sociali attraverso una «rivoluzione dall'alto» [*4]. Qui la trasformazione prende la forma normativa della costruzione dell'«uomo nuovo», a scapito di una auto-trasformazione collettiva della nostra socializzazione stessa. Ma anche se la dimensione statale, autoritaria e violenta del «socialismo realmente esistente» all'Est ha causato una prima reazione negli anni 1920-30, con l'ultrasinistra [*5], e quindi una seconda reazione dopo la seconda guerra mondiale, con la «terza sinistra» costituitasi intorno all'ideologia del mito autogestionale [*6], tuttavia queste due reazioni non hanno fatto altro che modificare lo schema pratico (consigli o democrazia economica, al posto della dittatura del proletariato) ma non il programma proletario ed il contenuto «emancipatore» della società futura che rimaneva esattamente identico. Questo schema della trasformazione, spinto fino all'assurdo nel XX secolo, oggi è oramai del tutto obsoleto.

3) - Contenuto «emancipatore» della futura società comunista.
Ugualmente obsoleto è tutto il contenuto «emancipatore», anche quello che veniva proiettato come società futura della rivoluzione e della riforma nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo. All'inizio del XIX secolo, la società comunista o anarchica viene immaginata come la società dei «produttori associati» secondo una modalità, all'inizio, più o meno artigianale (questo è il paradigma dell'associazione del capitale e del lavoro nel movimento cooperativo). Dopo di questa, c'è stata una trasformazione del contenuto della società comunista, in funzione della nascita della società industriale in seno alla società capitalistica [*7]. Da 150 anni, la società comunista è stata sempre immaginata come l'organizzazione della produzione industriale di massa ed equa di beni utili dai quali tutti trarranno beneficio. L'abolizione della società capitalistica si caratterizza quindi come il superamento di un capitalismo maturo, in quanto esso può generare solo dei trust e dei cartelli, e non più dei borghesi, aprendo così la strada ad una gestione dell'economia e dell'industria da parte degli operai. Per fare questo, per quanto riguarda quelli che sono i suoi mezzi, la rivoluzione viene caratterizzata da due elementi, ossia, dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione di quello che è un livello di produzione elevato allo stadio di automazione industriale, grazie al capitalismo, e dalla pianificazione centralizzata di questo stesso contesto industrializzato.
La società comunista futura nell'insieme delle sue varianti, è stata quindi sempre ridotta ad un modo di distribuzione regolato in maniera giusta e consapevole, ed adeguata alla produzione industriale permesso grazie al capitalismo. Fuori dal regno della necessità, la libertà è quella dell'abbondanza di un modo di produzione per mezzo dell'automatizzazione tecnologica integrale. E dal momento che la società capitalista non aveva  portato tutte le forze produttive da uno stato industriale avanzato a quello dell'automazione, si poteva immaginare una fase di «transizione» che consisteva generalmente nel continuare a far lavorare gli operai che venivano remunerati con dei buoni (e non con del denaro), finché non si fosse spinto ancora di più la società industriale delle macchine fino al suo punto estremo di società integralmente automatizzata: la società comunista. Poiché questa società era alla ricerca del miglior modo di produrre e di far circolare i beni, era un'economia differente, ma rimaneva un'economia.

Possiamo dire che in 150 anni, nell'anticapitalismo tronco del vecchio movimento operaio si sono intrecciate tre critiche :
- una critica del capitale, svolta in nome del lavoro, la quale implica altre due critiche:
- una critica dello Stato capitalista, svolta in nome dello Stato operaio, o del potere operaio (nella forma dello schema insurrezionalista che porta alla dittatura del proletariato, alla società del potere dei consigli, alla federazione dei sindacati del sindacalismo rivoluzionario e dell'anarcosindacalismo, oppure alla democrazia economica della società autogestita).
- e una critica del lavoro, svolta in nome delle macchine e dell'automazione della produzione.

Quest'approccio tridimensionale, oggi non può più servire come base per l'emancipazione.
Nel contesto distorto del marxismo tradizionale, il movimento operaio ha sempre preferito un programma che consistesse in una lista di abolizioni, cercando di sapere chi sarebbe stato in grado di realizzarle e chi vi si sarebbe opposto, piuttosto che delineare a cosa dovesse immediatamente somigliare la forma della nuova vita sociale.
In realtà, per troppo tempo si è insistito più sull'agente, o sul soggetto, che sul contenuto stesso della trasformazione dei rapporti sociali. Anche la posizione strategica più insurrezionale - radicale nella sua forma, ma vuota nel suo contenuto - nel peggiore dei casi, è stata obbligata a pensare la forma che avrebbe assunto la nuova vita come se essa sarebbe stata la forma insurrezionale stessa (come è avvenuto in alcune tendenze, fra gli autonomi italiani, negli anni '70, o nel movimento Tiqqun), feticizzando la violenza per la violenza, o immaginare, nei casi migliori, che comunque questa forma di nuova vita sarebbe arrivata e si sarebbe consegnata, in maniera spontanea, al soggetto storico, nel corso stesso della lotta (in una visione allo stesso tempo determinista ed ottimista). Oggi, queste posizioni sono obsolete.

crepuscolo anarres

Secondo la formula di Ursula Le Guin, nel romanzo "I reietti dell'altro pianeta" (1974), non si tratta di fare la rivoluzione, ma di essere la rivoluzione. Di fronte al futuro senza avvenire della rivoluzione industriale, di mercato e capitalista, trionfante, la comunizzazione, in quanto uscita dall'economia, viene immediatamente sacrificata dall'avvenire trasformatore sull'altare del presente trasformatore. Si tratta di una trasformazione dei rapporti sociali, dei nostri comportamenti, dei nostri immaginari, i quali dovranno tendere a non essere più delle relazioni, dei comportamenti, degli immaginari economici da cominciare immediatamente. Cambiare la vita, trasformare la vita quotidiana, significa cambiare le basi sociali della forma attuale di vita collettiva. L'uscita dall'economia, nell'immediato è piuttosto una dislocazione discontinua di quelli che sono gli assi gravitazionali delle mediazioni sociali, le quali strutturano la forma della vita sociale che costituisce la povertà di una vita economica semplice, cosa che a sua volta comporta l'auto-istituzione di una nuova forma di vita collettiva, basata su altre mediazioni sociali che opererebbero la sintesi sociale di altre forme di attività, di altre forme di circolazione dei beni, in cui "lavoro", "salario", "denaro", "tempo di lavoro", "consumo", "produzione", "scambio", "merce", in una parola, l'economia, non andranno più da sé.
La vita quotidiana radicata nella forma della vita collettiva, quindi cambia. Dire che il contenuto della comunizzazione costituisce un'uscita dall'economia, significa dire che la comunizzazione è il movimento della trasformazione dei rapporti sociali economici (capitalisti-di mercato) in rapporti sociali non economici (comunizzati). Si può pensare che è nella costituzione di questa nuova forma della sintesi sociale che l'economia, per scomparire, dev'essere "re-radicata". Il processo di un'uscita dall'economia potrebbe perciò essere pensato come auto-istituzione, "ri-radicamento", scomparsa. Nel senso secondo cui la comunizzazione dei rapporti sociali è la fine dell'economia, quello che Georg Lukács ha espresso nel 1923, e non in maniera del tutto compiuta, quando ha immaginato la futura "economia socialista" nei seguenti termini anti-economici:
«Questa "economia", tuttavia, non ha più la funzione che precedentemente aveva ogni economia: essa dev'essere la serva della società diretta in maniera consapevole; essa deve perdere la sua immanenza, la sua autonomia, che l'aveva resa propriamente un'economia; essa dev'essere soppressa in quanto economia- [...] La violenza [rivoluzionaria] non è un principio autonomo, e non può mai esserlo. E questa violenza non è nient'altro che la volontà cosciente, del proletariato, di sopprimere sé stesso - e di sopprimere, allo stesso tempo, il dominio schiavizzante che le relazioni reificate esercitano sugli uomini, il dominio dell'economia sulla società» [*8].
Anche Jean-Marie Vincent si è espresso su questo:
«la tematica marxiana della nuova società, perciò, non può essere ridotto al tema della transizione da un modo di produzione ad un altro, o da una forma di produzione dominante ad un'altra forma di produzione dominante. Piuttosto, tutto questo implica una dislocazione del centro di gravità delle attività sociali della produzione verso le attività non produttive, nel senso stretto del termine. La produzione materiale ed immateriale di valore non deve più essere il modello per le altre attività, ma al contrario deve diventare produzione informata e verificata in maniera permanente a partire dalle altre attività sociali in pieno rinnovamento» [*9].

Nessun medium feticistico dovrebbe interporsi fra gli individui sociali, e fra gli individui sociali ed il mondo. Il superamento della società capitalistica non può essere la ripresa della produzione di beni e di valori d'uso, e di una vita di scambi fatti secondo altre regole formali; non può essere il prodotto di una qualsiasi associazione di lavoratori/consumatori "alternativi". Quella che si presenterà come una comunità materiale (di produzione e di scambio) non potrà costituire un'altra forma di vita sociale. Lo strappo all'economia non può essere quindi inteso come un modo di auto-organizzarsi per sopravvivere. L'emancipazione può essere solamente l'abolizione di "tutto ciò di cui ci si può riappropriare per poter essere auto-organizzabile", il suo oggetto non può più essere quello di costituire un "modo di produzione", una "liberazione" del lavoro (rispetto al capitale), una "buona economia" oppure una "altra economia". La comunizzazione, il cui contenuto è la fine dell'economia, non è né l'autogestione (né la gestione), né la gratuità (né la non gratuità) [*10], né la redistribuzione (né la distribuzione), né l'uguaglianza economica (né la disuguaglianza economica), né la rilocalizzazione (né la globalizzazione). Non c'è nessuna alter-economia  che tenga! L'emancipazione non è una nuova "economia", neppure regolata, né decentralizzata, né rinnovata, né rilocalizzata, né democratizzata, né autogestita. Semplicemente, essa non è il modo migliore di distribuire o di produrre dei beni.
«Il comunismo, se ovviamente tiene conto dei bisogni, e se assicura una produzione per poterli soddisfare tali bisogni, non fa di questo né un punto di partenza né la base della vita sociale» [*11].
Quindi, l'uscita dall'economia non è intesa nei termini di una semplice "espropriazione", o di una semplice "riappropriazione" [*12], ma solo al livello più fondamentale di un processo rivoluzionario, in termini di differenza, di superamento e di abolizione del nucleo di quello che oggi costituisce "società" (un passaggio). Se si può pensare che «la comunizzazione fa il salto nella non-economia» [*13], essa può essere pensata e realizzata solo nella costituzione di una nuova forma della sintesi sociale, come garanzia del superamento sociale del lavoro, del valore, dello Stato e del denaro.

- Clément Homs - Estratto di un testo apparso nel 2012 sulla rivista "Sortir de l'économie", n°4

NOTE

[*1] - Robert Kurz, Vies et mort du capitalisme. Chroniques de la crise, Lignes, 2011, p. 167. Ci dovrebbe essere un dibattito sulla definizione data da Kurz rispetto al nuovo contenuto di ciò che dovrebbe essere la rivoluzione; egli sembra pensare che una "pianificazione sociale", senza Stato, che si svolga intorno alla soddisfazione dei bisogni, potrebbe costituire una nuova sintesi sociale.

[*2] - Già nel 1962, l'Internazionale Situazionista invitava a «riprendere lo studio del movimento operaio classico in maniera disincantata» (I.S.n°7).

[*3] - Cfr. Moishe Postone, Temps, travail et domination sociale, Mille et une nuits, 2009.

[*4] - Anche se naturalmente non possiamo ignorare il posto occupato dai soviet, furono pur sempre delle forme vuote e senza forma della vita istituzionale costituita solo intorno al lavoro, e che quindi dovevano "essere traditi". Cfr. Rudolf Rocker et Victor Serge, Les soviets trahis par les bolcheviks (la faillite du communisme d’Etat), un texte de 1921, éditions Spartacus.

[*5] - Roland Simon et Chemins non tracés, Histoire critique de l’ultragauche. Trajectoire d’une balle dans le pied, Senonevero, 2009.

[*6] - Autogestion. La dernière utopie ? (sous la dir. de Frank Georgi), Publications de la Sorbonne, 2003.

[*7] - «Il modello comunista di "produttori associati" secondo un modo più o meno artigianale [proveniente dal periodo della sussunzione formale del lavoro da parte del capitale] viene ora sostituito [nel periodo della sussunzione reale del lavoro da parte del capitale] da un'associazione gestionale di intere fabbriche, che formano la base di una piramide di consigli dove la democrazia diretta assicura la libertà di ciascuno in un modo che in fin dei conti si riduce all'interiorizzazione della legge del valore» Bruno Astarian, « Eléments sur la périodisation du MPC : histoire du capital, histoire des crises, histoire du communisme », in Hic Salta, 1998.

[*8] - Georg Lukács, Histoire et conscience de classe, Les éditions de Minuit, 1960, p. 289.

[*9]- Jean-Marie Vincent, Critique du travail. Le faire et l’agir, PUF, 1987, p. 87.

[*10] - «Comunizzare non significa rendere gratuito ed accessibile a tutti ciò che già esiste, dal telefono cellulare alla centrale elettrica, passando per la casa della cultura e per la panetteria del quartiere. Altrimenti, vorrebbe dire mantenere i mezzi di produzione e le modalità di consumo liberandoli dal loro carattere di mercato: riempire il carrello senza aprire il portafogli, fare il pieno di benzina senza usare la carta Visa... insomma, la stessa vita, senza il cassiere, senza il banchiere, senza l'esattore delle tasse, senza il vigile» Gilles Dauvé et Karl Nésic, in « Communisation ».

[*11] - Gilles Dauvé et Karl Nésic, op. cit.

[*12] - Questo termine, "riappropriazione", che è stato spesso utilizzato nei precedenti numeri di "Sortir de l’économie", oggi mi sembra piuttosto inadatto. Presuppone quel che dev'essere riappropriato come se fosse qualcosa di naturale.

[*13] - Bruno Astarian, « Activité de crise et communisation », juin 2010, in « III.3.1 “ La lutte pour une activité totalisante ” ». Negli esempi da lui studiati, Astarian nota che «il principio della "produzione" senza produttività consiste nel fatto che l'attività degli uomini e le loro relazioni vengono prima del risultato produttivo». In maniera generale, questo autore rimane dentro il paradigma della produzione, nel sogno di un'economia senza produttività.

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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