martedì 5 dicembre 2017

Deliberatamente

biblioteca-de-sarajevo-1992

Il 25 agosto del 1992, l'esercito serbo bombardò deliberatamente la Biblioteca Nazionale di Sarajevo, distruggendo in tal modo più di un milione di libri e più di centomila preziosi manoscritti. Fra i pochi tesori che hanno potuto essere salvati, c'era un famoso manoscritto di un illuminista ebreo, noto come la Haggadah di Sarajevo, redatto in Spagna fra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV. Questo libro era sopravvissuto non ad una, ma a molte catastrofi. La prima era stata l'espulsione degli ebrei dalla Spagna, avvenuta esattamente cinque secoli prima del bombardamento della biblioteca di Sarajevo. Un qualche lettore devoto, costretto ad abbandonare la sua amata Spagna, portò con sé la Haggadah e. insieme ad altri sefarditi, si rifugiò in una certa città dell'impero ottomano dove, alcuni secoli dopo, nel 1914, sarebbe stato assassinato l'arciduca Francesco Ferdinando. Un paio di decenni dopo, durante la seconda guerra mondiale, la Haggadah venne nuovamente salvata, stavolta da un bibliotecario musulmano di Sarajevo, il quale la nascose, per proteggerla dagli aguzzini nazisti la cui missione era quella di bruciare ogni libro ebraico. Circa sette anni dopo l'attacco serbo a Sarajevo, avvenuto nella primavera del 1999, avvenne la storia che segue: fra i migliaia di musulmani (o "di etnia albanese", come venivano chiamati) espulsi dal Kosovo dai serbi, c'era una donna che portava con sé, per ragioni sentimentali, perché era appartenuta a suo padre, un pezzo di carta scritto in caratteri ebraici, lingua che lei non sapeva leggere. Ammassati, lei e i suoi compatrioti, sull'altro lato della frontiera macedone, la donna decise di mostrare il foglio ai membri della comunità ebraica del villaggio presso il quale erano accampati. Fu un momento magico. Venne fuori che il pezzo di carta era un documento conferito dal governo di Israele al bibliotecario, il quale non solo aveva salvato la Haggaddah di Sarajevo, ma aveva anche dato rifugio e ospitalità nella sua casa agli ebrei jugoslavi sottraendoli alle atrocità naziste.La figlia dell'uomo che era stato un eroe durante la seconda guerra mondiale era ora la vittima di un nuovo atto di barbarie. Quando si venne a sapere la sua identità, venne portata via dal campo dei rifugiati e trasferita con la sua famiglia in Israele, dove venne ricevuta da un uomo che l'abbracciò con le lacrime agli occhi. Era il figlio, ormai adulto, di uno di quegli ebrei la cui vita il bibliotecario musulmano aveva salvato. «Mio padre ha fatto di tutto cuore quel che ha fatto, non per ricevere qualcosa in cambio» - disse la donna - «Ora, cinquant'anni più tardi, ci viene restituito qualcosa. È come un cerchio.» Ed è a questo cerchio che apparteniamo, a questo cerchio cui appartengono, da sempre e per sempre, libri e lettori.

- Alberto Manguel - da "Para cada tiempo hay un libro" - Editore: SEXTO PISO (2014) -

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