lunedì 17 ottobre 2016

Il mercato della paura

iona

«Le persone sane sono persone malate che semplicemente non sanno di esserlo». La battuta di una vecchia commedia è uscita dai teatri per inverarsi negli attuali sistemi sanitari. Quel paradosso va sotto il nome, in apparenza confortante, di medicina preventiva: screening di massa attuati con sofisticate apparecchiature di misurazione biometrica rilevano minime anormalità spesso indolenti e non progressive, su cui agisce poi un trattamento farmacologico di correzione della «devianza». Sollecitudine per la salute pubblica o affare colossale per il complesso medico-industriale? Iona Heath non ha esitazioni. Assimila le politiche neoliberiste in materia di rischio epidemiologico a una «licenza a stampare denaro». Ma nella sua accorata accusa contro la «combinazione tossica di interesse personale e buone intenzioni» la dottoressa Heath, tra i medici più esperti e stimati del Regno Unito, non è sola. Ricerche scientifiche pluridecennali hanno ormai dimostrato che l’illusione statistica dell'’efficacia della prevenzione dipende soltanto dall’'ampliamento della nozione di malattia e dall’'abbassamento della soglia dei protocolli di intervento. Il risultato di questo regime di sovradiagnosi e sovratrattamento è una medicalizzazione della vita che ci fa sentire tutti un po’ malati, mentre storna ingenti risorse dalla cura di chi ne ha davvero bisogno, ossia le fasce soccombenti della popolazione. Quando ci ripeteranno che «prevenire è meglio che curare», chiediamoci almeno quali costi sociali abbia un'’ossessione per il benessere del corpo che allontana sempre più l'’idea stessa della sofferenza dall'’orizzonte umano a cui inevitabilmente appartiene. Proprio su questo prospera il lucroso mercato della salute.

(dal risvolto di copertina di: "Contro il mercato della salute" di Iona Heath, Bollati Boringhieri, €11,00)

L'oppio della prevenzione
- di Marco Pacioni -

Una nuova paura caratterizza la nostra società, effetto del progressivo espandersi della prevenzione: la paura preventiva spinge infatti ad allungare la lista delle situazioni considerate rischiose per sviluppare o contrarre malattie. Ma nel momento in cui i fattori di rischio aumentano, aumenta anche la paura di ammalarsi e il ricorso alla medicina, ai farmaci preventivi. Più crescono i comportamenti a rischio più la definizione delle malattie si allontana dai sintomi reali. L’offerta di diagnosi, screening e farmaci si allarga a dismisura, crea un nuovo mercato, si calibra sugli individui sani ma potenzialmente malati, si personalizza, si privatizza sia sul lato della domanda che dell’offerta. La medicina e la farmacologia preventive hanno di mira soprattutto la sicurezza sanitaria degli individui, la possibilità di aumentare la percentuale della loro speranza di vita. A dover essere assicurata infatti non è più tanto la vita, ma soprattutto la speranza sempre maggiore di essa, il tenerla a riparo il più possibile dal rischio.

Considerare il rischio a partire dalla possibilità che esso possa manifestarsi garantisce un potere infinito di individuare fattori potenziali di malattia. Le prudenziali buone pratiche, lo stile di vita tendono così a essere medicalizzati e "farmacolizzati". In tale contesto, la previdenza collettiva non è più un obiettivo – poco misurabile, troppo vago e astratto – ma diventa un collaterale «effetto di gregge» prodotto principalmente dalla prevenzione adottata dal singolo. Uno dei risultati della pressione esercitata dalla prevenzione è quello di indurre le persone a un tipo di autocontrollo che sia il riflesso del controllo raccomandato agli individui dalle agenzie mediche e farmacologiche. Qui il costo non solo monetario di screening periodici e l’assunzione di farmaci preventivi è ovviamente sempre più a carico del privato consumatore che deve responsabilizzarsi verso la società cercando di pesare il meno possibile sul sistema sanitario pubblico, indotto a sua volta a intervenire sempre meno per curare persone eventualmente colpevoli di non aver vigilato sufficientemente su stesse, sui propri fattori di rischio.

Sull’insicurezza come esposizione alla colpa, sulla promessa di vita in cambio di prevenzione, sulla domanda di speranza contro l’estensione dell’offerta dei comportamenti a rischio, sulla medicina preventiva come misto di teologia economica e capitalismo moraleggiante indaga Contro il mercato della salute di Iona Heath, medico e già autrice di un testo denso e importante, Modi di morire, sull'ultima fase della vita. Lo sfondo religioso e economico del discorso è più evidente se si considera il titolo originale di esso: Opium of the Masses che richiama la celebre frase di Marx della «religione come oppio dei popoli».

Nel quadro descritto da Heath la prevenzione si trova nella contraddittoria o schizofrenica posizione di lavorare per combattere e debellare i fattori di rischio, ma non di potere e volere eliminare il rischio medesimo totalmente. È così che la prevenzione del rischio si trasforma nel «rischio preventivato», nella «programmazione del rischio» e infine in quella che Petr Skrabanek ha chiamato risk factorology, cioè la fabbrica dei fattori di rischio.

Uno degli strumenti più potenti della fabbrica dei fattori di rischio è, secondo Heath, la «sovradiagnosi» che a propria volta induce al «sovratrattamento» e all’aumento degli «indici di sopravvivenza» a scapito degli indici della qualità della vita (e della morte). Un altro effetto paradossale dell’espansione della prevenzione è l’estensione delle risorse sanitarie ai sani virtuosi che non si sono esposti ai fattori di rischio e la simultanea riduzione della spesa per coloro che invece virtuosi non sono stati perché hanno avuto la cattiva volontà di assumere comportamenti rischiosi. Detto altrimenti, è colpa loro se si sono ammalati, perché si sono abbuffati di jank food o hanno avuto la cattiva idea di vivere in un ambiente inquinato. È colpa loro e dunque non si ritiene giusto che altri paghino per le loro volontarie e sbagliate scelte di vita.

Scrive Heath: «la ricerca di tecnologie preventive universali ha stornato un’enorme quantità di tempo e di denaro dai malati dirottandola verso i sani, e dai poveri verso i ricchi. […] Trasformare l’assistenza sanitaria in oppio dei popoli giova ai ricchi e potenti consentendo di raffigurare le vittime dell’ingiustizia sociale come causa diretta delle proprie disgrazie, e distoglie l’attenzione dalla responsabilità morale del governo di garantire una società giusta e inclusiva».

L’utopia del corpo sano perché sintonizzato alla prevenzione, perché virtuoso nel recepire e sottoporsi alle procedure e ai ritrovati di essa, ha sostituito l’utopia della giustizia sociale e con questa la considerazione di tutti quegli elementi ambientali e relazionali che concorrono a determinare la salute delle persone. Prendere in considerazione la dimensione relazionale, ambientale e politica della salute senza separare questa da altri aspetti della vita degli individui non permetterebbe di enucleare parametri biomedici precisi per intervenire preventivamente. Un approccio che contempli i vari aspetti dell’esistenza non calzerebbe tanto alla prevenzione, quanto alla versione più complessa di essa: la previdenza – parola che però sta gradualmente scomparendo dal vocabolario politico.

Il libro di Heath si pone in controtendenza allo  slogan culturalmente pervasivo secondo il quale «prevenire è meglio che curare». Heath ci avverte con dovizia di dati sul fatto che forse non è sempre vero questo adagio. Dall’alto della sua quarantennale esperienza di medico, ci dice anzi che a volte è meglio curare che prevenire o almeno che la prevenzione dovrebbe essere fatta con cura e non a spese di questa. Ma è proprio senza curarsi dei contesti e delle differenze delle persone che la prevenzione ha il potere di stabilire parametri fermi di fronte ai quali siamo apparentemente tutti uguali e al contempo suscettibili di essere anormali o normali. Oltre a essere oppio degli individui, un altro aspetto sul quale Heath ci richiama riguardo la medicina preventiva è che essa può essere facilmente utilizzata per produrre controllo e classificazione biopolitici.

- Marco Pacioni - Pubblicato su Alfabeta2, il 17 ottobre 2016 -

1 commento:

Unknown ha detto...

Veramente interessante, lo inseriro' nel prossimo ordine di libri. Io rifiuto da anni, da sempre, di sottopormi a qualsiasi screening preventivo, soprattutto a causa del rischio di sovradiagnosi (e conseguente stress evitabile, nonchè, spesso, trattamenti sanitari evitabilissimi). Ma mi par di capire che l'autrice va ben oltre, facendone anche un discorso di giustizia sociale, tra le altre cose. Una prospettiva che fino ad ora non avevo ancora incontrato. Grazie della segnalazione.