domenica 16 ottobre 2016

Il futuro del capitalismo è già passato

streeck

Diversi autori si interrogano, da diverse prospettive, sul futuro del capitalismo. Fra quelli che mantengono una posizione scettica riguardo alla sua possibile sopravvivenza oltre il 21° secolo - o perfino per i prossimi 30 o 40 anni - non si possono dimenticare István Mészáros, Immanuel Wallerstein e Robert Kurz.
Tuttavia, questo post vuole raccomandare la lettura di Wolfgang Streeck, un interessante sociologo tedesco, che pensa a partire da Karl Marx, ma, soprattutto, a partire da Karl Polanyi. La sua tesi centrale è che il neoliberismo, nello spingere verso la competizione come modo di vita, nel trasformare l'individuo in imprenditore di sé stesso, nel mercificare tutte le sfere della vita sociale, mina inesorabilmente le basi morali e sociali dell'integrazione degli esseri umani nella società. Dal momento che l'esistenza del capitalismo dipende da tali basi - ereditate dalle generazioni passate, ma ora violentemente depredate - il tentativo di salvarlo attraverso l'intensificazione neoliberista, porterà, secondo lui, alla sua progressiva disintegrazione. E questa dissoluzione potrà eventualmente essere accompagnata dalla fine dell'umanità stessa.
Si vuole fornire qui la traduzione di un testo che sintetizza un in intervento di Streeck, del 2010, nel corso dell'incontro annuale della “Society for Advancement of Socio-economics” (SASE), nel corso del quale diversi autori hanno discusso intorno alla domanda chiave: "Il capitalismo ha un futuro?"

Il cupo futuro del capitalismo
- di Wolfgang Streeck - [*1]

Il manifesto è attaccato al muro e si trova lì già da un bel po' di tempo; siamo noi che dobbiamo saperlo leggere. Ecco il suo messaggio: il capitalismo è una formazione sociale storica; non ha solamente un inizio, ma ha anche una fine [*2]. Sono tre le tendenze che si sono sviluppate in parallelo nell'insieme delle ricche democrazie capitaliste a partire dal decennio 1970: declino della crescita, aumento della disuguaglianza di reddito e di ricchezza, così come espansione del debito pubblico, privato e totale. Oggi, queste tre tendenze sembra che si stiano rafforzando a vicenda: la bassa crescita contribuisce alla disuguaglianza attraverso l'intensificazione del conflitto distributivo; la disuguaglianza smorza la crescita, in quanto riduce la domanda effettiva; gli alti livelli di debito esistente intasano i mercati del credito, aumentando così il rischio di crisi finanziarie; un settore finanziario gonfiato così tanto contribuisce alla disuguaglianza economica, ecc..
   Ormai l'ultimo ciclo di crescita, quello avvenuto prima del 2008, adesso sembra sia stato più falso che reale [*3]; inoltre, il recupero avvenuto dopo il 2008 continua in maniera anemica, nel migliore dei casi. Ecco che lo stimolo keynesiano, monetario o fiscale, ha smesso di funzionare a fronte della quantità senza precedenti di debiti accumulati. Si noti che stiamo parlando di tendenze a lungo termine e non solo di una deviazione contingente e momentanea; stiamo di fatto trattando di tendenze globali che, in quanto tali, influenzano il sistema capitalista nel suo insieme. Non si vede niente che possa sembrare abbastanza potente da contrastare queste tre tendenze, le quali hanno messo radici profonde nell'economia e si sono strettamente intrecciate fra di loro.
   Inoltre, quando ci guardiamo indietro, vediamo una sequenza di crisi politico-economiche, che hanno avuto inizio con l'inflazione nel decennio degli anni 1970; a questa è seguita un'esplosione di debito pubblico negli anni 1980 e un rapido aumento del debito privato nel decennio successivo, che ha provocato il collasso dei mercati finanziari, nel 2008. Va notato che questa sequenza si è ripetuta quasi allo stesso modo per tutti i principali paesi capitalisti le cui economie, inoltre, non sono mai stato realmente equilibrate dopo la fine del periodo della grande crescita del dopoguerra. Tutt'e tre le crisi sono cominciate e sono finite nella medesima forma, cioè, per mezzo di processi inflazionistici: se il debito pubblico e quello privato sono serviti inizialmente come soluzione politica conveniente per i conflitti distributivi fra capitale e lavoro (e, talvolta, anche, da altre parti, come ad esempio nei paesi produttori di materie prime), hanno poi finito per diventare anche problemi: inflazione dei prezzi all'inizio degli anni 1980, inflazione del debito pubblico in prima fase di consolidamento nel decennio del 1990 e inflazione del debito privato, dopo il 2008 [*4]. Attualmente, la politica economica correttiva viene chiamata di "alleggerimento monetario" [*5]; essa consiste, essenzialmente, nell'emissione di denaro da parte delle tesorerie e delle banche centrali con la finalità di mantenere bassi i tassi di interesse. È in tal modo che si cerca di mantenere sostenibile il debito accumulato in passato, evitando anche che l'economia stagnante cada in deflazione.  Questa correzione ha, però, un prezzo: genera maggiori disuguaglianze; rende più probabile anche il fatto che possano nascere nuove bolle nei mercati degli asset, i quali possono, al momento decisivo, collassare.
   La natura fondamentale della crisi si è vista quando i cervelli leader del capitalismo non sapevano cosa fare. Ora si limitano a cercare sempre dei nuovi tappabuchi provvisori fino a che non compare la prossima spiacevole sorpresa. I maghi del mercato hanno perso la loro sapienza. Per quanto tempo l'alleggerimento monetario può ancora continuare? Il problema è la deflazione o l'inflazione? Fino a che punto è possibile individuare una bolla prima che esploda? La crescita viene ripristinata per mezzo delle spese o attraverso un taglio delle spese? Una regolamentazione finanziaria più rigorosa è favorevole o è dannosa per la crescita? [*6] Fino a metà degli anni 1970, la crescita è stata il risultato della redistribuzione dei redditi dall'alto verso il basso; poi, dopo il keynesismo è stato sostituito dall'hayekenismo, e l'opposto è diventata la verità e, così, i mercati sono stati liberi di ridistribuire dal basso verso l'alto. Ora, sette anni dopo la catastrofe del 2008, ancora non è emersa una nuova formula di crescita; la confusione governa le opinioni. Il capitalismo amministrato dallo Stato ha fallito, cioè, è stato rifiutato dai proprietari di capitale in quanto è parso loro troppo caro; è stato sostituito da un capitalismo del libero mercato, ma anche questo ha fallito. Nel frattempo, le banche centrali agiscono come regolatrici in attesa di una nuova direzione di governo. Ma quale potrebbe essere? A proposito, quale sarebbe la ricetta in grado di dare sostegno alle imprese capitaliste nel loro insieme?

   Suggerisco che il capitalismo, dopo più di 200 anni, è diventato insostenibile in quanto è diventato ingovernabile. Dietro a questo disturbo c'è quello che viene sommariamente chiamato il disturbo della "globalizzazione": l'espansione delle relazioni capitaliste di mercato al di là della portata dei governi ha unificato il capitalismo, ma ha frammentato l'azione politica collettiva. Sebbene questo potrebbe apparire come la vittoria finale del capitalismo, cosa che fino ad un certo punto è vera, allo stesso tempo viene ad essere anche il preannuncio della sua morte. Al contrario di quel che Mandeville ha indicato nella sua "Favola delle Api" (1714) e che Adam Smith ha suggerito con la sua metafora meno provocatoria della "mano invisibile" (1776), la conversione capitalista dei vizi privati in virtù pubbliche sostiene una società stabile solo se questo funziona in presenza di forti istituzioni formali ed informali che limitano "l'ordine dell'egoismo" inerente al mercato (Dunn, 2005), assoggettandolo alla disciplina sociale. Nel soppiantare le capacità collettive che potrebbero governarlo, il capitalismo ottiene una vittoria di Pirro. Il fatto che oggi non ci sia alcuna alternativa ad esso, nessuna forza anticapitalista unificata a livello globale, per il capitalismo è sia una benedizione che un dilemma. Si noti come nei momenti cruciali della storia del capitalismo, è stata l'opposizione ad esso che lo ha stabilizzato in quanto società: movimenti regionali, nazionali o religiosi hanno preservato la coesione sociale e, in tal modo, la cooperazione e lo scambio relativamente equanime; gli Stati socialdemocratici del benessere e i sindacati in tali Stati protetti hanno assicurato una domanda sufficiente nella sfera economica, così come una riproduzione sociale tranquilla nella sfera del mondo della vita e della politica.
   Il declino simultaneo del governo che effettivamente governa, così come quello della conseguente opposizione, nel capitalismo contemporaneo sta producendo una crepa crescente nel sistema di integrazione, cosa che, a sua volta, sta generando una trasformazione accelerata dell'integrazione sociale (Lockwood, 1964). L'ingovernabilità globale ha causato una profonda erosione dei regimi sociali nel punto di incontro frontale dei mercati capitalisti, in ciò che Karl Polanyi ha chiamato le tre "merci fittizie", il lavoro, la terra e il denaro. Se lo sviluppo capitalista, secondo Polanyi, ha come finalità ultima quella di mercificare tutto, può però continuare a farlo solo in quanto gli viene impedito dalla società di sottomettere alla sua logica quello che può essere mercificato soltanto a suo danno. Proteggere il lavoro, la terra e il denaro dalla dinamica di sviluppo capitalista esige un governo in grado di agire in maniera incisiva; una mera "governance" sussidiaria dei mercati non è sufficiente (Offe, 2008) per impedire al capitalismo di andare troppo lontano e, in tal modo, compromettere sé stesso.
   La debolezza dei governi attuali è evidente per quanto riguarda la natura, dal momento che le politiche frammentate del capitalismo globale si sono rivelate incapaci di contenere il consumo e la distruzione dell'ambiente naturale. Allo stesso modo, la produzione competitiva di denaro da parte dei governi, delle banche centrali e delle istituzioni finanziarie è diventata una potente fonte di incertezza e una minaccia permanente per la stabilità sistemica. Nella sfera del lavoro, i tradizionali programmi di occupazione del dopoguerra, progettati per proteggere i lavoratori e le loro famiglie dalle eccessive pressioni del mercato, stanno sparendo nei paesi capitalisti avanzati. Si apre sempre più la strada all'occupazione precaria, ai contratti a zero ore, ai lavori "freelance" e "standby" in imprese globali come Uber - un sistema di sussunzione che funziona quasi interamente senza i vincoli occupazionali regolari [*7]. I rischi occupazionali vengono privatizzati ed individualizzati; la vita ed il lavoro si fondono e diventano indistinguibili l'una dall'altro. I sindacati stanno diventando irrilevanti o smettono di esistere in molte industrie e perfino in certi parsi. Così, non c'è niente che possa attenuare l'impatto del cambiamento tecnologico che avanza più rapidamente che mai per riorganizzare il lavoro - o per disorganizzarlo. L'intelligenza artificiale, ad esempio, sta diventando ridondante in una vasta classe di occupazioni intermedie, cosa che non smette di distruggere tutto il modo di vita della classe media [*8].
   In un precedente articolo (Streeck, 2014), ho identificato cinque patologie del capitalismo contemporaneo, che assumo come non passibili di essere curati; ciascuno di essi risponde ad un aspetto differente del processo di disintegrazione in corso: la stagnazione secolare, che è il culmine di un lungo declino del tasso di crescita [*9]; il neo-feudalesimo oligarchico che fonde il potere politico con il potere economico e che attualmente esiste non solo in Russia, Ucraina e Cina, ma anche in Occidente, in particolare negli Stati Uniti [*10] - un processo che dissocia il destino dei ricchi dal destino dei poveri; il saccheggio dell'economia pubblica attraverso il consolidamento fiscale e la privatizzazione dei servizi pubblici, che erano tanto un contrappeso indispensabile quanto una infrastruttura di appoggio al capitalismo (Bowman, 2014); la demoralizzazione sistemica; e l'anarchia internazionale. Per motivi di spazio, vorrei qui discutere solamente questi due ultime patologie [*11].

   Parlo prima della demoralizzazione sistemica. Al contrario di quanto avviene nelle favola di Mandeville, sotto il capitalismo finanziarizzato, i vizi privati diventano anche vizi pubblici. E questo finisce per privare il capitalismo della sua fondamentale forma - conseguenzialista - di giustificazione morale. Ed è così, anche se i proprietari ed i gestori di capitale privato ora si presentano come amministratori dei beni pubblici,  come benefattori delle società che svolgono - sempre ben pubblicizzate - attività filantropiche. Ed ecco che un cinismo generalizzato ora si trova ad essere profondamente radicato nel senso comune collettivo; si concepisce il capitalismo in corso come una struttura di opportunità perché i molto ricchi ben inseriti diventino ancora più ricchi. Ingannare nella ricerca del profitto viene considerato normale, qualcosa che non suscita più alcuna indignazione morale. Ciò vale soprattutto nel mondo della finanza, dove i maggiori profitti vengono realizzati per mezzo dell'evasione fiscale oppire violando tutte le regole legali, riuscendo ad ottenere informazioni privilegiate, concessione di prestiti ipotecari impagabili o per mezzo di qualsiasi altro espediente [*12].
   Fino a giugno 2015, solo negli Stati Uniti, per mezzo di accordi al di fuori del sistema giuridico, è stato concordato di pagare circa cento miliardi di dollari in tasse per infrazioni legali legate alla crisi finanziaria del 2008 [*13]. In nessuno dei casi si è arrivati al giudizio in tribunale e nessuno fino ad ora è andato in prigione. Ora, questo dimostra come ci sia una profonda empatia fra il sistema giuridico e le necessità delle istituzioni finanziarie a violare la legge, per ottenere profitti [*14]. In realtà, per poter avere un'idea dell'ammontare delle ammende che sarebbero state riscosse grazie ad una giusta condanna in un processo legale, bisognerebbe aggiungere gli onorari degli avvocati alle tasse di liquidazione. Una parte considerevole di questi pagamenti, è stata tuttavia dichiarata, ai fini fiscali, come spese aziendali [*15].
   In secondo luogo, storicamente, il capitalismo ha richiesto l'esistenza di un ordine internazionale stabile, mantenuto da una potenza egemonica. Questo ruolo è stato esercitato per la prima volta da Firenze, passando in seguito per i Paesi Bassi, per la Gran Bretagna e, successivamente, nel dopoguerra, agli Stati Uniti. Quando la posizione egemonica veniva contestata o diventava vaga, come è avvenuto nella prima metà del 20° secolo, il conflitto dilagava, e si accompagnava a gravi perturbazioni economiche. A partire dagli anni 1970, gli Stati Uniti si sono dimostrati sempre meno capaci ed ancor meno disposti ad offrire quei beni collettivi che ci si aspettano da un paese capitalista egemonico; invece, sono diventati parassiti dell'economia globale.
   Una soluzione cooperativa, di ordine internazionale, del problema, ad esempio per mezzo della condivisione del potere fra Stati Uniti e Cina non si intravvede. Nella periferia del sistema capitalista mondiale, gli Stati Uniti hanno perso successivamente diverse guerre; lo sviluppo democratico-capitalista, ossia, la "costruzione nazionale", è fallito in diverse parti del mondo. Invece del progetto del dopoguerra di un sistema globale di Stati sovrani, che avrebbe abbracciato tutto il mondo, grandi e crescenti territori diventano "senza Stato". In molti di questi territori, i movimenti religiosi fondamentalisti hanno assunto il controllo, rifiutando il modernismo ed il diritto internazionale; cercano un'alternativa al consumismo del capitalismo contemporaneo, dal quale non possono più sperare di trarre alcun beneficio per i loro paesi. Sempre più spesso, alcuni di questi movimenti trovano alleati nel Nord globale, in particolare fra i migranti del Sud lì residenti, che reagiscono alla loro esclusione sociale ed economica portando la guerra dalle periferie al centro.
  
   Come può il capitalismo finire senza che ci sia già una nuova società pronta a prenderne il posto? Per comprendere questo, dobbiamo abbandonare l'idea di una successione ordinata delle formazioni sociali, cioè, l'aspettativa storico-materialista per cui una società muore dando alla luce una società più nuova ed avanzata, includendo in questo errore la tesi bolscevica secondo la quale un ordine sociale finisce solo quando un diverso e distinto ordine sociale viene messo in pratica dal comitato centrale di un partito rivoluzionario vittorioso.
   Allo stesso tempo, bisogna anche stare attenti a non diventare vittime di un equivalente contemporaneo di quella che potrebbe essere chiamata "l'Illusione di Ravenna": la profonda convinzione delle classi dominanti dell'Impero Romano d'Occidente, nel V secolo, riguardo all'immortalità predeterminata della loro civiltà. Si continuava a considerarla come incrollabile anche perfino dopo che il suo territorio si era ridotto alla piccola città di Ravenna, sull'Adriatico; dal momento che questa città era circondata da paludi, ciò le concesse un rinvio del collasso finale mentre le orde germaniche occupavano e saccheggiavano Roma, insieme a tutte le province dell'Impero Occidentale. Convinte del fatto che la vita avrebbe potuto, eventualmente, tornare ad essere quella che era sempre stata, le famiglie dei governanti di Roma, nel loro rifugio a Ravenna, continuavano ad occuparsi degli intrighi riguardo alla successione nell'Impero [*16]. Da questo esempio, dobbiamo imparare che a volte l'ottimismo nasce soltanto dalla mancanza di immaginazione. Bisogna considerare la possibilità per cui un ordine sociale possa sfociare, non in un altro ordine, ma in un disordine duraturo - cioè, in un'epoca storica di incerta durata nella quale, secondo le parole di Antonio Gramsci, «il vecchio sta morendo, ma il nuovo non può ancora nascere» [*17].
   Come può essere la vita in una simile epoca? Secondo Gramsci, il collasso di un ordine sociale in assenza di un successore può dare origine ad «un interregno in cui cominciano ad esistere fenomeni patologici di ogni tipo» [*18] - in altre parole, si cade in una società sprovvista di istituzioni coerenti in grado di normalizzare la vita dei suoi membri, proteggendoli da incidenti e da anomalie di ogni tipo. In un simile interregno, la vita si caratterizza per la mancanza di determinazione strutturale [*19] e dove pertanto tutto diventa imprevedibile. Una società di questo genere non riesce a fornire ai suoi membri regole affidabile per mezzo delle quali si possano organizzare: viceversa, essa richiede una costante improvvisazione, facendo sì che gli individui sostituiscano un comportamento strutturato con un comportamento meramente strategico - situazione questa che offre opportunità eccezionali perché gli oligarchi ed i signori della guerra di ogni tipo forzino la maggioranza a vivere in una situazione di insicurezza, di incertezza e di anomia. Si viene a creare, così, una situazione molto simile a quella del lungo interregno che ebbe inizio nel V secolo e che ora viene chiamato Medioevo.
   Nel capitalismo contemporaneo, il sistema di integrazione si trova in uno stato instabile di cambiamento, il quale non sembra che porti ad un nuovo ordine stabile. Turbolenza ed immobilità, dinamica e stagnazione sono sempre più strettamente connessi. Questo tipo di struttura sociale alimenta un tipo di individuo sociale (Gerth e Mills, 1953): l'individuo individualista, intenzionalmente autosufficiente, desocializzato, che fa affidamento soltanto sull'auto-sorvegliata governamentalità neoliberista (Foucault, 2008) per compensare l'assenza di governo e la debolezza della governance. In questo mondo sociale indeterminato emerge una struttura sociale anomala; o meglio, quella che esiste viene sostituita da un rete di individui auto-interessati ed improvvisatori che si muovono dentro delle reti costituite da relazioni opportunistiche. Si tratta, quindi, di una società sostitutiva (Ersatz) di utenti al posto di una società formata da membri integrati. Costruita a parte dal basso, sembra che sia stata edificata sulla base di una ricchezza libertaria di alternative, che vengono vendute ideologicamente come se si trattasse di un grande parco di divertimenti. Ma, in realtà, essa riflette solamente l'assenza distruttiva di ordine sociale.

   La società fratturata che domina nell'interregno post-capitalista è sprovvista di legittimazione normativa - ha trasformato la responsabilità come fine in sé nelle scelte razionali dei suoi membri in quanto individui, lasciandoli senza istruzioni su come fare buone scelte. Sebbene questo possa essere, e venga, presentato come liberazione, nella realtà del post-capitalismo, lo spazio delle norme e delle istituzioni sociali viene occupato dall'avidità e dalla paura. E questi due sentimenti funzionano poi come meccanismi finali di controllo sociale. Insieme, essi alimentano la "auto-economizzazione" e la "auto-mercificazione" degli stessi individui che lottano per mantenersi adattabili alle forme imprevedibili dell'evoluzione delle circostanze. Essi cercano, perciò, l'incessante investimento competitivo della propria "flessibilità" e del proprio "capitale umano". Vogliono massimizzare la loro attitudine all'immaginata meritocrazia del mercato "libero" - che è, in realtà, un mondo dove esplodono le disuguaglianze. L'autosufficienza diventa all'ordine del giorno, anche se - e proprio perché - alcuni hanno molto più "sé stesso" in cui avere fiducia, di quanto ne abbiano altri.
   Nel post-capitalismo, l'ottenimento del profitto privato continuerà, anche sotto l'ombra dell'incertezza che prospererà in una società segnata dall'anomia, con istituzioni decadenti, con una coerenza ridotta, con crisi successive, attraversata da conflitti e contestazioni locali o più ampie. La cooperazione di massa, insieme all'accumulazione di capitale, riceverà impulso da una cultura di consumo competitivo. In gran parte dell'Asia, questa cooperazione oggi appare essere basata su un profondo conformismo collettivo. Tuttavia, avrà bisogno di una vigilanza per proteggerla dalla sovversione del cambiamento post-materialista del valore, dovuto se non altro al calo del potere di acquisto. La vita degli individui in questo interregno post-capitalista nel quale dominerà il "si salvi chi può" seguirà le prescrizioni comportamentali della dottrina neoliberista (Dardot e Laval, 2013). E questo significa che sarà necessario bruciare alla radice i fondamenti di un'economia e di una società di successo.
   Come si sa, la vita sociale non può ridursi alla vita economica e la vita economica non è possibile al di fuori da una società che la nutra. Qui si applica la dodicesima proposizione del libro "La dimensione morale" di Amitai Etzioni (1988, p. 257): «Quanto più le persone accettano il paradigma neoclassico come guida per il loro proprio comportamento [e non solo come una conveniente apologia del sistema economico di relazione del capitale], tanto più verrà pregiudicata la capacità collettiva di mantenere un'economia di mercato». Il futuro del capitalismo appare cupo.

- Wolfgang Streeck - 2014 -

NOTE:

[*1] - Ricercatore presso l'Istituto Max-Planck per lo Studio delle Società, con sede a Colonia, in Germania. E-mail: streeck@mpifg.de

[*2] - Quel che segue è una versione aggiornata e condensata di un articolo molto più lungo pubblicato precedentemente, nel 2014. Si veda anche il prossimo libro: "How will capitalism end?", pubblicato da Verso nel settembre 2016.

[*3] - Lawrence "Larry" Summers, capo dei tecnici della macchina nordamericana di accumulazione di capitale, nel Forum economico del FMI del novembre 2013 ha dichiarato quanto segue: «Se si torna a studiare l'economia precedente alla crisi, si vede qualcosa di leggermente strano. Molte persone credono che la politica economica allora praticata sia stata troppo permissiva. Sono tutti d'accordo sul fatto che occorreva una grande volume di prestiti imprudenti. Quasi tutti concordano sul fatto che la ricchezza, così come era vissuta dalle famiglie, appariva superiore a quella che in realtà era. Molto denaro facile, troppi prestiti, molta ricchezza. Sembrava esserci un grande boom! Non c'era una grande pressione ai fini dell'utilizzo degli impianti; la disoccupazione non si trovava ad un livello estremamente bassi; l'inflazione appariva essere del tutto quieta; in qualche modo, anche una grande bolla non sembrava sufficiente a produrre un qualche eccesso di domanda aggregata". Testo disponibile su Facebook. https://m.facebook.com/notes/randy-fellmy/transcript-of-larry-summers-speechat-theimf-economic-forum-nov-8-2013/585630634864563

[*4] - Da allora, il debito totale ha continuato a crescere. Si veda il rapporto del McKinsey Global Institute (2015). Molta retorica keynesiana è stata buttata a mare al fine di ridurre i rischi inerenti a tale crescita, anche se il debito non è esattamente di tipo keynesiano, giacché è stato accumulato per decenni.

[*5] - In inglese: “quantitative easing”.

[*6] - Paul Krugman, l'ideologo preferito dal keynesismo di centro-sinistra, è un caso interessante. Nel commentare sul New York Times (16/11/2013) il "discorso" di Summers sulla "stagnazione secolare" (vedi nota [*2]), comincia parafrasando Keynes. Ecco cosa ha detto: «Tutta la spesa è buona; poi se la spesa è produttiva, è ancora meglio, ma una spesa improduttiva è sempre meglio di niente». Da questo ne consegue l'affermazione per cui «la spesa privata, anche se è totalmente o parzialmente uno spreco», anche così può essere «una cosa buona». Per illustrare tale affermazione, Krugman aggiunge: «si supponga che le imprese americane, che attualmente si trovano sedute su un'enorme montagna di denaro, siano in qualche modo convinte che sarebbe un'ottima idea trasformare tutti i loro dipendenti in cyborg, muniti di Google Glass e di orologi intelligenti. Supponiamo, anche, che tre anni dopo arrivino a rendersi conto che in realtà non otterranno nessun profitto sostanziale da tutte queste spese. Ciò nonostante, il boom degli investimenti prodotto, avrebbe fornito diversi anni di occupazione più elevata, senza spreco reale, dal momento che le risorse utilizzate, in caso contrario, sarebbe rimaste inutilizzate».
Riguardo alle bolle, dice: «ora sappiamo che l'espansione economica avvenuta fra il 2003 e il 2007 è stata spinta da una bolla. Si può dire lo stesso anche riguardo all'ultimo periodo di espansione degli anni 1990; si può anche di fatto affermare la stessa cosa riguardo agli ultimi anni di espansione dell'era Reagan; prodotta da una fuga dagli istituti della casse di risparmio, ha generato un grande bolla nel settore immobiliare commerciale...».
Tutto questo, secondo Krugman, ha «alcune implicazioni radicali», fra cui, conformemente a Summers, la seguente: «molto di ciò che avrebbe potuto essere fatto per evitare una crisi futura sarebbe stato controproducente» a fronte delle nuove circostanze. Un'altra implicazione sarebbe la seguente: «anche un miglioramento della regolamentazione finanziaria non sarebbe stato necessariamente una cosa buona», poiché «avrebbe potuto scoraggiare i prestiti irresponsabili, i quali sono giustificati nel momento in cui un qualsiasi maggior volume di spesa diventa buono per l'economia». Inoltre, potrebbe essere interessante «per ricostruire il nostro sistema monetario nel suo complesso - diciamo, eliminando la carta moneta e pagando interessi negativi sui depositi», ecc.
Testo disponibile su: http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/11/16/secular-stagnation-coalminesbubbles-and-larry-summers/?_r=0

[*7] - Uber offre un buon esempio dell'evoluzione delle condizioni di impiego. Si veda, ad esempio, l'articolo "Rising Economic Insecurity Tied to Decades - Long Trend in Employment Practices", sul The New York Times del 12 luglio 2015. Secondo il rapporto citato , più di 160 mila persone negli Stati Uniti dipendono solo da Uber ai fini della propria sussistenza; di queste, solo 4 mila erano dipendenti regolari.
http://www.nytimes.com/2015/07/13/business/rising-economic-insecurity-tied-todecades-long-trend-in-employment-practices.html?smid=li-share&_r=0

[*8] - Randall Collins, The end of middle-class work: no more escapes, p. 37-69. In: Wallerstein et al, 2013.

[*9] - Un artificio teorico usato frequentemente per minimizzare la grandezza della crisi di crescita, in particolare quella che è seguita al collasso finanziario del 2008, consiste nell'indicare i cosiddetti BRICS (associazione formata da: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) come i futuri centri di crescita del capitalismo globale. Va ricordato, tuttavia, che l'etichetta BRICS è stata inventata da un venditore dei titoli della Goldman Sachs, all'inizio del 2000, come marchio per un nuovo fondo di investimento. Nel frattempo, però, questi 5 paesi non sono riusciti a contribuire al coordinamento globale dell'economia capitalista; non sono stati in grado di cominciare ad assumersi le responsabilità degli Stati Uniti - paese egemone in declino che ha agito in maniera sempre più irresponsabile. Anche questi paesi, per inciso, sono entrati in crisi; perfino la Cina ha sperimentato difficoltà in quanto i tassi di crescita sono in caduta, i prezzi delle azioni sono in calo, il debito sta crescendo rapidamente e si osserva un aumento della corruzione sistemica.

[*10] - Secondo il New York Times, «meno di 400 famiglie» sono state «responsabili di quasi metà del denaro raccolto nella campagna presidenziale del 2016, una concentrazione di donatori politici che non ha precedenti negli ultimi tempi». Alla fine del luglio dell'anno pre-elettorale 2015, le contribuzioni totali della campagna sono salite a 388 milioni di dollari. Si veda l'articolo "Small pool of rich donors dominates election giving", su The New York Times, 1° agosto 2015.
http://www.nytimes.com/2015/08/02/us/small-pool-of-rich-donors-dominateselection-giving.html?_r=0

[*11] - Vale la pena ricordare che la stagnazione è una patologia almeno altrettanto grave delle altre menzionate. Politicamente, questo significa che la crescente popolazione eccedente nei paesi capitalisti ricchi, includendo i migranti di seconda e terza generazione, non avrà la possibilità di recuperare il ritardo relativo all'insieme - decrescente - di coloro che stanno bene. La stessa cosa vale per la generazione perduta e per coloro che aspirano a diventare membri delle classi medie nei territori in espansione governati - o non governati - dagli Stati in corso di fallimento. Il capitalismo, come si sa, è basato soprattutto sulla speranza di una vita migliore in futuro. Ha questo in comune con il cristianesimo. La fede nel capitalismo e nel suo sistema finanziario dipende anche, al di là della "crescita senza fine", da altre promesse come gli effetti esterni innocui, le competenze universali, gli aumenti costanti della produttività, la domanda inesauribile, il consumo insaziabile... e la sostenibilità delle montagne di debiti. Nessuna di queste promesse si realizza nel mondo reale.
http://uklife.org/2015/01/15/promises/

[*12] - Sui salari dei manager, si consulti Neckel (2014), Si deve considerare anche lo sport professionale, un'attività che negli ultimi decenni è diventata una grande industria globale e che è stata finanziata principalmente attraverso annunci di beni di consumo. Si può presumere con una certa sicurezza che fra le sue principali attività, fra cui il nuoto e l'atletica, ma anche il ciclismo, i concorrenti principali fanno abitualmente uso di servizi di specialisti in super-prestazioni, che utilizzano metodi illegali.

[*13] - Frankfurter Allgemeine Zeitung, 29 de junho, 2015.

[*14] - Eric Holder, per esercitare il suo mandato di procuratore generale negli Stati Uniti, fra il 2008 ed il 2014, si è temporaneamente allontanato da uno studio legale che era solito rappresentare le società di Wall Street. Prima di assumere tale incarico, guadagnava circa 2,5 milioni di dollari l'anno. Nel 2015, è tornato al suo incarico nello stesso studio legale. Si veda: "Eric Holder, Wall Street Double Agent, comes in from de cold", su "Rolling Stone", dell'8 luglio 2015.
http://www.rollingstone.com/politics/news/eric-holder-wall-street-double-agentcomes-in-from-the-cold-20150708
È ovvio che il presidente Obama che ha nominato Holder, ha ottenuto da un terzo alla metà dei contributi alla sua campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti dall'industria finanziaria.

[*15] - Per capire l'ordine di grandezza, bisogna ricordare l'azione legale dei procuratori degli Stati Uniti contro la FIFA, che, con enorme pubblicità, venne processata all'inizio del 2015 per corruzione. Le entrate della FIFA nei 6 anni in questione erano state circa 5 miliardi di dollari, dei quali forse un miliardo era stato usato illegalmente (sebbene ancora non sia noto l'importo esatto della corruzione). Questo importo sarebbe uguale all'1% del valore pagato dalle banche americane per liberarsi dai processi.

[*16] - Gibbon (1993 [1776]), volume 3, p. 218.

[*17] - Come dice nei suoi "Quaderni dal carcere": «La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore ed il nuovo non può nascere».

[*18] - Dice: «... In questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati».

[19] - In modo simile, vedere quel che scrive Calhoun nel suo articolo sull'eccellente libro di Wallerstein ed altri (2013).

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

Bowman, A., Erturk, I., Froud, J., Johal, S., Law, J., Leaver, A., Moran, M. and Williams, K. – The End of the Experiment. Manchester: Manchester University Press, 2014.
Dardot, P. and Laval, C. – The New Way of the World: On Neo-Liberal Society. London and NY: Verso, 2013.
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fonte: Economia e Complexidade

1 commento:

Fausto di Biase ha detto...

Interessante, grazie. Tesi simili si trovano in interventi di Massimo Bontempelli e/o Marino Badiale.