venerdì 2 settembre 2016

L'essenza è ciò che appare!

bolla

Questo estratto è l'introduzione (pp. 321-328) fatta da Robert Kurz ad una serie di passaggi relativi al Marx esoterico del VII capitolo del libro "Lire Marx. Les textes les plus importants de Karl Marx pour le XXIe siècle. Choisis et commentés par Robert Kurz", La balustrade, 2002. Le numerose riflessioni, sulla società del lavoro, la crisi inerente ai fondamenti del capitalismo, la teoria del capitalismo come barbarie, la globalizzazione, ecc., rimandano a dei capitolo precedenti che si possono consultare sul sito "Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme".

Il capitale portatore d'interesse, la bolla speculativa e la crisi della moneta
- di Robert Kurz -

Nella discussione sulla teoria di Marx, si dimentica spesso che il concetto di modo di produzione capitalista che egli sviluppa soprattutto nel primo libro del "Capitale" dapprima espone solo la logica elementare del capitale e le sue condizioni storiche e sociali. Di contro, le manifestazioni empiriche immediate per mezzo delle quali la società capitalista si presenta all'osservatore dall'esterno non coincidono del tutto con la logica dell'essenza del capitale, ma subiscono in qualche modo molteplici mutamenti. Se, come dice Hegel, è l'essenza ciò che appare, essa non appare esattamente in maniera diretta e in quanto tale, ma "trasmessa", modificata, "incorrettamente" rifranta dalle influenze per mezzo delle quali è emersa. Vale a dire che, da una parte, l'essenza, per il suo concetto e la sua logica, deve innanzitutto essere distillata dalla diversità delle sue manifestazioni, e che, dall'altra parte, a partire dal concetto di capitale e dalla logica della sua essenza ottenuta, bisogna successivamente discutere intorno al contesto concreto della sua trasmissione e spiegare come e perché tale essenza si presenta nel modo in cui appare attraverso determinate modificazioni. E infine, bisogna anche analizzare ed esporre lo sviluppo storico e il relativo stato empirico di queste forme e serie di trasmissioni, se si vuole conoscere la relazione del capitale come qualcosa di assolutamente concreto allo stato attuale della sua evoluzione.
Marx ha analizzato principalmente le forme di trasmissione della logica capitalista e della loro evoluzione nel secondo e nel (frammentario) terzo libro del "Capitale", senza parlare, come abbiamo visto, almeno in maniera sistematica, dello "Stato" e del "mercato mondiale" (che avrebbero dovuto costituire il contenuto del 4° libro, se l'avesse scritto). Tuttavia, nel suo sviluppo del concetto di capitale, Marx ha analizzato in maniera relativamente dettagliata una forma di trasmissione del capitale che ha oggigiorno un significato decisivo: quello del capitale portatore d'interesse e la nozione di "capitale fittizio" che ne deriva. Il capitale portatore d'interesse, quindi il capitale denaro puro in quanto capitale di prestito o di credito, si distingue totalmente dalla forma finanziaria del capitale "facente funzioni di capitale", che è arrivato proveniente dal processo economico di produzione industriale reale. Il capitale denaro dell'economia industriale non è altro che lo stadio finanziario provvisorio della metamorfosi perpetua dell'accumulazione capitalista, ed è quindi un capitale denaro che, in quanto tale, non cessa di ri-trasformarsi direttamente in mezzo di produzione (C) e in forza lavoro vivente (V). Il capitale portatore di interessi rappresenta un capitale denaro che non è più legato se non esteriormente ed indirettamente al vero processo di produzione capitalista. Si tratta di un capitale denaro prestato a delle imprese, allo Stato o anche alle famiglie, che, in compenso, deve pagare degli interessi (costo del credito) allo stesso tempo in cui rimborsa la somma prestata.
Dal punto di vista dei proprietari di tale capitale creditizio, o creditore, così come nella comprensione sociale generale della coscienza capitalista, questa forma di capitale derivato è la sua "vera" forma, dotata della "qualità occulta" - per citare Marx - di fare denaro essa stessa, a quanto pare senza passare attraverso dei processi economici di produzione industriali reali. Questo spiega anche perché questa manifestazione del contesto della trasmissione capitalista sia anche il punto di partenza della critica popolare e populista del capitalismo, inizialmente portata avanti dalla piccola borghesia, che ha continuato ad essere alimentata dai Proudhon e dagli anarchici del suo tipo, dai capi delle sette del calibro di un Silvio Gesell o di un Rudolph Steiner, fino ad arrivare agli ideologhi nazisti. Questo anticapitalismo primario e sciocco, del tutto adatto ai pregiudizi del "buon senso popolare" capitalista adattato a partire dal 18° secolo al produttivismo per mezzo di una disciplina del lavoro astratto, attacca il "capitale finanziario improduttivo" nel nome della nazione capitalista, facendone un vampiro assetato di sangue. Allo stesso tempo in realtà si glorifica e si rivendica il modo di produzione capitalista propriamente detto: come, ad esempio, i nazisti nella loro scandalosa contrapposizione fra il capitale "creatore" ed il capitale "rapace". Cercando troppo spesso e troppo facilmente di identificare il capitale finanziario diabolizzato con l'ebraismo (topos apparso alla fine del Medioevo ed utilizzato ad oltranza da Lutero), questa ideologia costruita sul risentimento e sui bassi istinti umani, e non sull'analisi e sulla teoria critica, crea allo stesso tempo una costruzione, o una sorta di "economia politica" irrazionale dell'antisemitismo moderno.
Non vedendo altro che la manifestazione superficiale del capitale portatore di interessi, questo anticapitalismo riduttivo sostenuto da tutte le corrente populiste ed antisemite presenta senza dubbio alcune somiglianze e sovrapposizioni con il marxismo del movimento operaio, anch'esso ugualmente prigioniero delle categorie capitaliste, benché non manchi di denunciarle sullo stesso piano. La ragione principale del movimento operaio è stata quella di lottare per il riconoscimento giuridico e politico dei lavoratori salariati e per un miglioramento delle loro condizioni di esistenza nel capitalismo; per contro, il principale motore delle emozioni populiste contro il capitale finanziario è sempre stato quello di mobilitare dei ciechi sentimenti di odio e di impotenza, per giocare su questo registro con dei fini politici e servirsi della dinamica della crisi in funzione di un obiettivo anti-emancipatore.
Tuttavia, a giudicare i concetti utilizzati e la logica dell'interpretazione, alla critica del liberalismo economico dei socialdemocratici e dei comunisti piace con la loro retorica fare fuoco in maniera sconsiderata sul capitale finanziario e sui processi speculativi, reclamando allo stesso tempo lavoro e Stato, nazione ed "investimenti di capitale produttivo". In tal modo, si evoca involontariamente un'infelice e spettrale alleanza di tutta la critica riduttiva e populista del capitalismo che ingloba tutta la politica, e che porta esattamente a quello che è il contrario di un'emancipazione sociale. Con la sua tendenza anti-americana, la rinascita keynesiana di sinistra svolta nel recente intervento di Bourdieu contro il modello neoliberista presenta dei motivi analoghi.
Ma, in questo caso, gli epigoni ed i nostalgici del marxismo del movimento operaio non possono richiamarsi nemmeno al Marx essoterico. Se Marx naturalmente non parla dei rappresentanti del capitale finanziario e speculativo nella maniera lusinghiera in cui lo fanno i difensori radicali del mercato, ma li tratta senza tanti complimenti come dei banditi, dei "lupi della Borsa" ecc., questi personaggi poco edificanti però non vengono mai contrapposti con animosità al capitale produttivo, come fa la critica populista e piatta del capitalismo fatta dagli apologisti del lavoro e dagli antisemiti. Ma vengono spiegati a partire dal loro rapporto interno con il capitale produttivo. Su questo punto, non c'è pressoché alcuna differenza fra l'argomentazione essoterica e quella esoterica di Marx: da qui il suo mordente critico, contro Proudhon ed altri cavalieri dei suoi tempi, riguardo alla loro posizione contro il "cattivo" capitale portatore di interessi, che prova la loro totale incomprensione delle forme capitaliste e delle leggi dei movimenti interni di queste forme.
Marx non si accontenta di sviluppare in maniera precisa il concetto di capitale portatore di interessi a partire dal concetto stesso di capitale e della sua relazione reale con il capitale produttivo, capitale "facente funzioni di capitale", ma mostra anche come questa relazione si presenti "all'inverso" nel processo di produzione capitalista e nella sua vera dinamica di crisi. Il solo fatto che la vendita di capitale denaro in quanto "merce in sé" (nelle diverse fonti di credito) e la sua restituzione con gli interessi aggiunti siano dissociati così bene sia nel tempo che nello spazio, e che il rapporto interno con il processo di produzione reale del capitale non sia più immediatamente visibile, permette che si arrivi, fuori dall'apparenza ideologica della percezione deformata del capitale feticcio, ad una potenzialità di crisi proprio attraverso la costituzione di un "capitale fittizio". Si parla di capitale fittizio o di bolla finanziaria quando il capitale portatore di interessi si somma positivamente all'attivo del creditore; quest'ultimo può effettuare delle operazioni (ad esempio: può essere impegnato come garanzia per altre transazioni). In realtà, il capitale denaro prestato non è stato utilizzato dal debitore nel circuito produttivo del capitale e non svolto veramente funzione di capitale (che utilizzi realmente della forza lavoro), oppure questo utilizzo non ha sortito effetto.

A differenza di quanto avveniva all'epoca di Marx, oggi questa congiuntura può presentarsi anche sul piano del credito per il consumo concesso a dei lavoratori salariati, come è avvenuto per numerose vittime contemporanee che ne hanno fatto troppo bene la triste esperienza: il denaro prestato - che è sempre capitale denaro (in quanto portatore di interessi) dal lato dei creditori, anche se viene dispensato solo per il consumo - viene sempre ottenuto a condizione tanto tacita quanto assoluta che la forza lavoro del debitore venga utilizzata nel circuito produttivo del capitale e che il suo salario gli permetta sia di rimborsare il capitale che di versare gli interessi. Nel caso di una disoccupazione imprevista che causa una forte diminuzione del reddito, questo processo viene necessariamente interrotto. Tale fenomeno non si manifesta immediatamente, ma solo dopo un certo periodo di incubazione. Nel caso di un credito per il consumo, dobbiamo fare una semplice analogia con il vero grande capitale di prestito. Quest'ultimo viene prestato attraverso differenti canali e sotto diverse forme al capitale "facente funzione di capitale" delle imprese al fine che esse possano trasformare la forza lavoro in produzione. Ma, naturalmente, i meccanismi sono sempre gli stessi. Valgono tanto per lo Stato che prende in prestito del denaro dai mercati finanziari (nella misura in cui non sia esso stesso ad operare in imprese commerciali) quanto per il semplice consumatore, dal grande consumatore fino al livello dell'insieme di tutta la società. Quello che, per il lavoratore salariato, è il reddito proveniente dalla vendita al capitale "facente funzione di capitale" della sua forza lavoro, per poter finanziare il proprio debito, per lo Stato è il reddito proveniente dalle imposte, per le quali esso assorbe ogni sorta di reddito finanziario e di profitti di capitale "facente funzione di capitale".
In ciascuno dei tre casi seguenti, la connessione del credito con il processo di riproduzione reale del capitale può rompersi, senza che gli inevitabili effetti si facciano sentire immediatamente: nel caso del credito al consumo accordato al lavoratore salariato che ritrova disoccupato, nel caso dello Stato che si indebita al di là delle sue risorse fiscali possibili e suscettibili di essere sottratti alla società (o a causa del processo di crisi che interrompe inopinatamente le entrate fiscali attese), ma soprattutto nel caso del capitale "facente funzioni di capitale", quando il profitto previsto è inferiore al debito da ripagare. Ciascuna volta, l'ora della verità, vale a dire lo scoppio della bolla, può essere ritardata rimandando il tempo di rimborso (nella speranza di giorni migliori sia per il creditore che per il debitore), contrattando quindi dei nuovi debiti al fine di poter pagare i debiti precedenti. L'abisso che separa il capitale denaro per il quale si devono pagare degli interessi ed il processo di produzione reale del capitale, minaccia allora di allargarsi naturalmente, in quanto l'indebitamento entra in un circolo vizioso ed il debito iniziale raggiunge logicamente una cifra astronomica cui non corrisponde alcuna base produttiva.
L'analisi di Marx fa una chiara distinzione: quando il capitale produttivo di interessi passa realmente attraverso la produzione del capitale "facente funzioni di capitale" e percepisce realmente il frutto supplementare che rappresenta l'interesse, si tratta allora di una componente positiva - anche se trasmessa - del processo di accumulazione capitalista globale; quando questo rapporto viene ad essere rotto, ma questa rottura non è ancora avvenuta, di modo che i crediti, le fatture ed altro, in realtà le perdite non realizzate possono ancora figurare all'attivo (per ignoranza o per intenzione), come se queste somme continuassero a costituire una fortuna esistente e crescente, benché abbiano perduto ogni sostanza, in questo caso, allora, si tratta di capitale fittizio o, in qualche modo, di capitale produttore di interessi negativi.

Marx sviluppa un secondo concetto di capitale fittizio analogo a partire da un settore specifico del capitale finanziario: quello dei mercati azionari. La "capitalizzazione delle speranze" (prospettiva di profitti futuri) realizzata alzando il valore delle azioni costituisce a prima vista un capitale fittizio, in quanto qui non esiste più alcun rapporto sostanziale con un processo di produzione capitalista reale (a differenza dei dividendi che corrispondono logicamente all'interesse del capitale denaro, vale a dire rappresentano una quota parte dedotta dal profitto reale dell'impresa). Finché questa costituzione specifica di capitale fittizio si effettua parallelamente al processo di accumulazione reale, può essere catturata da quest'ultimo in qualsiasi momento; ma non appena prende il volo e raggiunge delle dimensioni eccessive, ci si ritrova di fronte ad una bolla finanziaria analoga al capitale fittizio dei crediti tossici, vale a dire una falsa accumulazione ottenuta per mezzo di operazioni effettuate con dei valori senza sostanza che finiranno da un giorno all'altro per non essere più coperti.
Il capitalismo vive quotidianamente di tali processi su piccola scala. Succede continuamente che la relazione fra il capitale reale ed il capitale finanziario si rompa da un punto di vista o dall'altro, che si formino qua e là delle piccole bolle finanziarie, che delle fatture non vengano onorate, che dei crediti rimangano in sofferenza, che dei debitori insolventi falliscano - troppo spesso nello stesso momento in cui falliscono i loro infelici creditori. Tutto ciò fa parte del corso affatto normale e maleodorante degli affari ed è fra i rischi e fra gli effetti secondari della riproduzione capitalista, in cui la logica elementare intrinseca della "valorizzazione del valore" soggiacente si trova a dover passare attraverso le numerose forme contraddittorie di trasmissione. La cosa diventa un problema sociale generale solo quando i valori del capitale fittizio provenienti dai crediti senza copertura che hanno rotto con la creazione del valore reale del capitale "facente funzioni di capitale", da una parte, ed i valori azionari puramente speculativi (o valori immobiliari, ecc.) o i debiti dello Stato, dall'altra parte, superano una certa massa critica. Questo è sempre il caso quando l'immobilizzazione interna dell'accumulazione reale descritta da Marx nella sua analisi della crisi [*1] si produce sulla scala della società, di conseguenza quando la produzione capitalista non può più assorbire in maniera redditizia forza lavoro umana a sufficienza, proprio a causa della sua contraddizione interna e delle sue leggi. Ma questo ostacolo interno non si vede immediatamente, in quanto i "soggetti economici", le imprese, gli Stati, e le famiglie, continuano a restare a galla per un certo tempo e si indebitano andando a costituire un capitale fittizio, mentre i loro reali profitti, redditi, ecc. regrediscono o si fermano del tutto: o perché il capitale denaro, che esiste ed allo stesso tempo affluisce sui mercati azionari oltre ogni proporzione e costituisce anche un capitale fittizio che non è altro che una bolla speculativa; l'inevitabile crisi viene allora ad essere ritardata, ma si aggrava conseguentemente al capitale fittizio che si costituisce. In questo modo, quando la crisi finisce per emergere, essa ha assai più spesso l'aspetto di una crisi puramente monetaria, finanziaria generale e di una crisi del credito, benché in realtà sia dovuta alla barriera interna del capitale produttivo. Da qui, anche l'abituale confusione populista fra cause ed effetti, non appena la crisi si manifesta visibilmente (si preferisce dare la colpa agli speculatori piuttosto che formulare una critica emancipatrice dal modo di produzione capitalista).

La teoria e l'analisi marxiste del capitale portatore di interessi e del capitale fittizio provenienti da questa logica sono meno attuali del pronostico riguardo la globalizzazione pronunciato dal loro autore, per il semplice motivo che i due processi sono parallelamente e complementariamente il risultato della tendenza alla crisi inerente al capitale. La fuga del capitale "verso fuori", sui mercati mondiali, corrisponde alla fuga verso "l'alto", sui mercati finanziari disaccoppiati dal processo di produzione reale. Questi due processi si condizionano reciprocamente e di compenetrano. La costituzione del capitale mondiale immediato nella concorrenza di crisi globale non filtrata va di pari passo con la comparsa di un mercato finanziario globale non filtrato, con un indebitamento esorbitante e con una bolla mondiale di capitale fittizio. È proprio in tutto questo che vediamo annunciarsi la possibilità di una prossima crisi finanziaria mondiale di un impatto non comparabile a nessuna del precedenti crisi finanziarie di questo tipo. Ciò principalmente dal momento che il capitale finanziario non ha mai così largamente superato il quadro economico nazionale e dal momento che la sua crisi ormai non può che scoppiare immediatamente e lo farà su scala mondiale. Per comprendere i meccanismi di tale evoluzione che sfuggono tanto ai banchieri mondiali e agli analisti finanziari contemporanei quanto ai loro predecessori: più che mai, riferiamoci a Marx! I testi che seguono sono per lo più frammenti del III Libro del "Capitale", ma a volta vengono presentati in un ordine differente per delle ragioni di coerenza logica e di migliore intellegibilità.

- Robert Kurz - Dicembre 2000 per l'edizione tedesca -

NOTE:

[*1] - Non come lo comprende il marxismo tradizionale, ma come lo comprende il movimento della "critica del valore", descritto da Robert Kurz nel capitolo precedente riguardo gli estratti del Marx esoterico in "La vera barriera della produzione capitalista è lo stesso capitale: il meccanismo e la tendenza storica delle crisi" (Nota di Palim Psao).

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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